Le idi di marzo
L’isolamento del riformismo in Italia

Cento anni di storia della sinistra
tra Ugo La Malfa e Pietro Ingrao

Il prossimo 30 marzo Pietro Ingrao compie ben cento anni, complimenti e auguri, lo scorso 26 marzo era l’anniversario più mesto dei 36 anni dalla morte di Ugo La Malfa. Due date distanti pochi giorni in cui si affaccia buona parte della storia d’Italia, per lo meno di due modi diversi di rappresentare la sinistra del Paese. Ingrao e La Malfa ebbero modo di discutere più volte in passato, senza potersi intendere. La Malfa si sarebbe vantato di non aver mai fatto dell’anticomunismo in quanto tale e quando Marco Pannella definiva Togliatti un “assassinissimo”, La Malfa ne aveva sottolineato gli aspetti di cultura liberale che avevano contraddistinto la formazione del principale segretario politico del Pci. Eppure se prendiamo in mano gli scritti tra “la voce repubblicana” ed il “Mondo” di Ugo La Malfa per tutti gli anni 50, la polemica nei confronti del Pci è continua da essere quasi estenuante. Ugo La Malfa è tremendo: passa alla lente non solo le prese di posizioni della segreteria o del comitato centrale del partito, oltre alle osservazioni dei singoli dirigenti, ma ribatte puntutamente persino ai corsivi dell’Unità. Tanto lavoro dialettico aveva convinto il leader repubblicano che se nella seconda metà degli anni ‘70, il Pci avesse dato un contributo fondamentale nella lotta contro il terrorismo e fosse in qualche modo maturato nell’esperienza democratica, merito anche suo. Sarà purtroppo deluso in breve tempo, quando si convinse di come il Pci finita l’esperienza elettoralmente infruttuosa della solidarietà nazionale, si fosse come ripiegato su se stesso, e una volta contestata la funzione progressiva della rivoluzione di ottobre, tardasse ad emanciparsi dai legami politici con Mosca. In quel contesto, proprio Ingrao evolveva le sue posizioni che lo hanno portato poi a diventare un autentico guru della sinistra tradizionale nei 36 anni successivi. Purtroppo per lui la sinistra che è oggi al governo non lo considera minimante. Il riformismo “renziano”, indipendentemente dal valore che gli si voglia attribuire, prescinde completamente dalla logica ingraiana. Tanto è vero che non stenteremmo a credere se ad Ingrao, coloro che gli vogliono bene, gli abbiano cercato di risparmiare il dibattito sul Jobs Act per evitargli il crepacuore. Ugo La Malfa invece si potrebbe compiacere che i suoi amici capitalisti, quei pochi rimasti, il Jobs Act lo apprezzano eccome. Ingrao, come tutto il suo partito non credeva nelle riforme, credeva nella rivoluzione. Non potendo purtroppo vederla realizzata questa rivoluzione, c’erano stati solo gli spasmi del terrorismo in Italia, si era spostato su un misticismo di massa. “Le masse hanno sempre ragione” diceva proprio Togliatti, ed Ingrao pensava di offrire loro le istituzioni democratiche per costruire nuove forme di partecipazione. Non che la cosa fosse proprio chiarissima, tanto che Ingrao ha perso poi lentamente peso anche all’interno del suo partito, fino ad uscirne ed è rimasto relegato in un’area più marginale della sinistra italiana, quando quasi tutti, oggi, si sentono, o vorrebbero essere “lamalfiani”, primi fra tutti quelli del nuovo governo. Ugo La Malfa, a differenza di Ingrao, verso le masse aveva una certa diffidenza. Egli considerava l’Italia un paese di controriforma e i protestanti come lui sono sempre stati detestati quando solo i protestanti fanno le riforme che servono al progresso di una società. E la riforma comporta uno spirito severo, antipopolare, antitedemagogico che né il Pci, né Ingrao, furono mai in grado di assumere. “Alla gente - diceva La Malfa - si è abituati a raccontare frottole”, e si che aveva ragione. Anche se avesse vissuto cento anni, Ugo La Malfa non sarebbe riuscito a vedere questo scorso del secolo in cui probabilmente non si potrebbe comunque riconoscere, come, anche se in maniera ben diversa non si riesce a riconoscere Ingrao. C’è un tempo e una storia che segnano le personalità dei suoi protagonisti, oltre al quale è molto difficile andare. A noi piace dire che Ugo La Malfa sia “attuale”, ma tanti possono ricordare che certe sue battaglie, anche sul modello di sviluppo, l’avversione alla televisione a colori, fossero addirittura antistoriche, e certe sue posizioni, la pena di morte, persino peggio. È vero: Ugo La Malfa era inattuale già in vita, ma proprio questa era la sua grandezza. Quello che non ha mai capito Ingrao, con tutto il rispetto e con lui buona parte della classe politica italiana è che l’inattualità chiede una direzione di marcia inversa alla corrente che porta da un’altra parte. Un leader politico deve saperla solcare al contrario per consentire, mai il resto della società fallisse, di prendere un’altra strada. Ugo La Malfa aveva questa inattualità politica e morirà in un governo tripartito, mentre si stava per allestire la stagione dei successi del pentapartito che pure si sa come è terminata. L’uomo che aveva voluto i socialisti al governo più di chiunque altro, si era convinto che era meglio ributtarli fuori dalla porta. Allora c’è chi lo prese per pazzo, e non era nemmeno la prima volta. Oggi possiamo più facilmente comprendere la sua grandezza. La Malfa sa parlare ancora. Ingrao, anche per come lo abbiamo visto celebrato su certa stampa, avrà un destino completamente diverso. L’hanno elevato in vita come un totem nel centro del villaggio, suntuoso e muto.

Roma, 27 marzo 2015